L’Associazione Italiana per la Direzione del Personale aderisce a Parks l’associazione che si propone di portare alla luce le problematiche dell’omossessualità in ambito aziendale. Ma per raggiungere un equilibrio efficiente la strada appare ancora lunghissima: secondo una ricerca datata 19 maggio e presentata dalla Fondazione Rodolfo de Benedetti, non solo gli omossessuali (maschi) hanno un 30% in meno di probabilità di essere chiamati dopo l’invio di un curriculum. Ma, soprattutto, emerge che più si alzano le competenze, più la penalizzazione si aggrava.
Parks è l’associazione senza scopo di lucro fondata da Ivan Scalfarotto, che ha tra i soci esclusivamente i datori di lavoro. Qualche giorno fa ha annunciato l’adesione, come quattordicesimo socio, di Aidp, ovvero l’associazione che raggruppa coloro che si occupano della gestione delle risorse umane. Un passo istituzionale importante, per un’associazione, Parks, dove ancora dominano i nomi delle multinazionali straniere.
Sul piano di un’equa ed efficiente gestione delle diversità c’è ancora molto da fare. Lo dimostra anche la ricerca, presentata alla XIV fRDB European Conference, Unexplored Dimensions of Discrimination in Europe: Religion, Homosexuality and Physical Appearance, firmata da Eleonora Patacchini (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”), Giuseppe Ragusa (Luiss Guido Carli) e Yves Zenou (Stockholm University). I risultati sono piuttosto clamorosi, al punto da strappare anche un commento di prima pagina del Corriere della Sera. Ebbene, in seguito a un esperimento sul campo (con l’invio a Roma e Milano di 2.320 curricula artefatti in base a regole matematiche, con identità inventate come Giulia Villa o Francesco Ricci, tutte con data di nascita tra il 1977 e il 1992) sono state confermate, e aggravate, le ipotesi sul funzionamento del mercato del lavoro italiano: gli omossessuali maschi (cioè coloro che dichiarano la propria omosessualità) registrano tre punti percentuali in meno di probabilità di richiamo (cosa che non si verifica per le donne). Il che, se si considera che il tasso di richiamo dell’esperimento si è fermato all’11%, significa oltre il 30% in meno di possibilità di trovare lavoro.
Ma c’è un ulteriore aspetto della ricerca che appare significativo. E cioè la totale indifferenza alla meritocrazia. Anzi, l’avversione alla meritocrazia. «Il nostro obiettivo – si legge nella ricerca – era di investigare se la penalizzazione dell’omosessualità fosse mitigata per individui high-skilled. Ebbene, la cosa interessante è che abbiamo trova un risultato opposto. I dati rivelano che la penalizzazione sembra concretamente più alta per individui omosessuali high-skilled, con un ordine di grandezza di oltre l’8% per cento per i maschi. Anche in questo caso, nessun costo sembra emergere per l’omosessualità femminile, confermando che solo gli uomini gay sono penalizzati sul mercato del lavoro».
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