Intervista a Tristan Guida. In occasione della Giornata internazionale della visibilità non-binary, che ricorre ogni 14 luglio, abbiamo chiesto a Tristan Guida, attivista e Registration Student Support Specialist di NABA, di raccontarci la sua esperienza da persona non binaria.

DTristan, quando hai capito di essere una persona non-binary? E come hai reagito?

R – Ho preso coscienza di essere una persona trans* non-binary a 30 anni, quando ho cominciato ad approcciarmi alle teorie queer, alle filosofie femministe e agli studi di genere. Ho vissuto l’adolescenza negli anni 2000 in un contesto di provincia, dove c’era un accesso limitato a luoghi materiali e virtuali di confronto per persone che si interrogavano sulla propria identità di genere. La rappresentazione mediatica dell’identità trans* era pressoché inesistente, quando non patologizzata. L’incontro con il trans-femminismo è stata la chiave di volta per avviare il mio percorso di affermazione genere: non solo ho capito di non dovermi necessariamente identificare come donna cisgender, ma anche che il genere può essere sganciato dal sesso assegnato alla nascita, che il maschile e il femminile non sono categorie statiche, che si può esistere tra i generi o al di fuori del genere. Questa presa di coscienza è stata l’inizio di un percorso di liberazione.

DSe dovessi spiegare a chi non ne sa nulla di cosa sia essere non-binary, come ti definiresti?

R – Una persona non binaria non si conforma al sesso assegnato alla nascita e non si identifica né nel genere maschile né in quello femminile, posizionandosi al di fuori del binarismo di genere. Le identità non binarie vengono incluse nel termine ombrello trans*, e possono classificarsi in ulteriori sottocategorie (per esempio: bigender, agender, genderfluid, demigender, etc.). In questo momento del mio percorso di affermazione di genere mi identifico come una persona agender, in quanto non solo non mi riconosco in nessun genere, ma sono estraneo al concetto stesso di genere.

DThey, them, loro… negli ultimi anni, la questione dei pronomi e del giusto modo di appellare chi non si riconosce nel sesso assegnato alla nascita è stata molto discussa. Quali consigli daresti per non sbagliare?

R – Dal momento che la lingua italiana non prevede il genere neutro, il mio consiglio è di aprire qualsiasi conversazione con una persona che non si conosce specificando i propri pronomi, così che chi abbiamo di fronte si senta a suo agio nell’indicare i propri. È una prassi in uso nei gruppi di auto muto aiuto che contribuisce a creare uno spazio basato sul rispetto reciproco. Nella lingua scritta le opzioni a disposizione per riferirsi a una persona non binaria sono diverse, dall’asterico allo schwa all’eliminazione della vocale in fine di parola: il dibattito sul linguaggio ampio è ricco di sperimentazioni, che devono tuttavia sempre essere valutate in relazione alla loro fruibilità per tutte le categorie di persone, comprese quelle con disabilità visive e disturbi specifici dell’apprendimento. In una cornice teorico-pratica intersezionale, il linguaggio non può essere inclusivo se non è anche accessibile.

D – Quali sono i primi passi da fare per una persona che prende coscienza di essere non-binary? E come può essere d’aiuto chi le sta a fianco?

R- Per me è stato fondamentale frequentare un gruppo di auto muto aiuto. Fortunatamente durante i lockdown imposti per la pandemia da COVID-19 molte associazioni hanno organizzato gruppi su piattaforme online, un’opportunità preziosa per chi abitava in piccoli centri dove i luoghi di aggregazione per la popolazione LGBTQIA+ tendono a essere più rari. Condividere con altre persone trans* gli interrogativi, le paure e le gioie legate al percorso di affermazione di genere da una parte ha alleviato il mio senso di isolamento, dall’altra mi ha portato ad acquisire la consapevolezza che l’esperienza trans* è unica per ogni soggettività ed è condizionata dall’intersezione con altre dimensioni identitarie, come la classe socio-economica, la cittadinanza, la razzializzazione, la convivenza con una o più disabilità, l’orientamento sesso-affettivo, la forma corporea.

Inoltre, all’interno e all’esterno della comunità trans*, è bene ribadire che non esistono parametri da soddisfare per potersi autodeterminare come persone trans*: l’assunzione della terapia ormonale sostitutiva e/o la rettifica anagrafica sono strade che possiamo o meno intraprendere, ma non determinano la validità della nostra identità. Per questo alle persone cisgender che si trovano a stare accanto a una persona non binary, darei un unico consiglio: riconoscerla per quello che afferma di essere e rispettarne le scelte, anche laddove non si riesce a comprendere appieno le implicazioni dell’esperienza di incongruenza di genere, sia sul piano fisico, che su quello emotivo e psicologico.

D – Qualche consiglio di lettura o visione sulla tematica?

R – Consiglio in ordine un saggio, una graphic novel e un documentario/podcast:

  1. Meg-John Barker and Alex Iantaffi, Life Isn’t Binary – On Being Both, Beyond and In-Between Book (Jessica Kingsley Pub, 2020). Da maggio 2024 è disponibile anche in traduzione italiana per Odoya Edizioni: partendo dal non binarismo di genere, Barker e Iantaffi analizzano le criticità insite nel pensiero binario rispetto alle relazioni, ai corpi, alle emozioni e alla sessualità, suggerendo una serie di pratiche per stimolare chi legge a mettere in discussione la concezione dualistica della realtà.
  2. Maia Kobabe, Gender Queer: A Memoir (Oni Press, 2022), disponibile anche in traduzione italiana per Beccogiallo Editore: è il racconto molto intimo del percorso di autocoscienza vissuto da Kobabe come persona non binaria e asessuale e del suo coming out con la famiglia.
  3. Nel mio nome, un documentario italiano realizzato nel 2022 da Nicolò Bassetti sulle storie di quattro ragazzi trans*, a partire dal quale Leonardo Arpino – uno dei protagonisti del film – ha costruito un podcast in cinque puntate.