Intervista a Anna Maria Fisichella. In occasione della Giornata internazionale della visibilità transgender, che ricorre ogni 31 marzo, abbiamo chiesto a Anna Maria Fisichella, vicepresidente di Agedo nazionale, di raccontarci la sua esperienza personale di mamma di un giovane ragazzo trans.
D – Ci vuoi raccontare come tuo figlio Alessandro, anni fa, ti ha rivelato di essere un ragazzo transgender? Cos’hai provato in quel momento?
R – Me lo ha detto a 15 anni, tre anni fa, una sera a cena, mentre eravamo da soli. Io non sapevo niente di questo argomento e quindi non ho capito, ma mi sono messa in ascolto e l’ho lasciato spiegare. Quello che più mi ha colpito del fiume di parole con cui mi ha investito, è stata la determinazione con cui mi ha detto che non dovevo aver paura, perché adesso lui si riconosceva allo specchio quando si guardava, perché adesso lui era una PERSONA VERA, REALE e non più un fantasma. Era caduto un velo e lui era finalmente uscito dalla confusione, dalla paura di essere l’unico al mondo a provare una sensazione così destabilizzante. Quando non hai le parole per nominare qualcosa, quel qualcosa non esiste e tu hai paura di essere solo al mondo. Nei suoi occhi ho letto anche il sollievo di aver condiviso con me la sua scoperta, la gioia di quella rivelazione che segnava l’inizio della sua vera vita, la forza e la determinazione per affrontarla, l’orgoglio di essere e di amarsi come è realmente. Cosa può fare una madre di fronte alla sua creatura così consapevole? Mi sono rimboccata le maniche, ci siamo presi per mano e abbiamo camminato insieme, affrontando ogni piccola e grande battaglia insieme (il coming out con gli altri membri della famiglia, con gli altri parenti, la carriera alias a scuola, i momenti di sconforto, gli errori con il suo nuovo nome, tutte le volte che da un medico bisognava tirar fuori il suo documento dove spuntava ostinatamente il suo nome anagrafico). E poi ho studiato molto, ho parlato tanto con lui, ho passato ore sui social ad ascoltare storie ed esperienze di ragazzi transgender… e così mi si è aperto un mondo, ho imparato e compreso molte cose, ho rivissuto tutta la vita di mio figlio a ritroso e l’ho letta con occhi diversi, comprendendo finalmente e pienamente tutti i segnali che, sin da bambino, mandava inconsciamente. E poi ho incontrato Agedo, che mi ha fatto conoscere genitori che vivevano la mia stessa esperienza e mi hanno fatta sentire più forte, mi hanno dimostrato che ero sulla strada giusta: insieme si cammina più spediti. Da lì a restituire quello che avevo ricevuto, il passo è stato breve: sono diventata un’attivista sempre più presente, sempre più informata, sempre più consapevole.
D – Com’è cambiata la vita di tuo figlio dopo il coming out in famiglia sulla sua identità di genere?
R – Adesso è un ragazzo felice, appagato, pienamente se stesso. Affronta la vita con un coraggio e una determinazione non comuni per la sua giovane età, ma allo stesso tempo con leggerezza e l’incoscienza propri invece della sua età. Io credo di essere cambiata molto più di lui: sono cresciuta, mi sono aperta al mondo, ho imparato che da ogni dolore può nascere una nuova strada e nuova bellezza, che la vita ti scompiglia i piani e ti può stupire in qualunque momento, che c’è sempre un modo per capirsi, per conoscersi di più.
D – Qual è il consiglio pratico che ti senti di dare ai genitori di chi si scopre appartenente alla comunità LGBTQI+, che sia per l’orientamento sessuale o per l’identità di genere? E come si può aiutare concretamente una figlia o un figlio che fanno coming out?
R – Ascoltandoli, sempre. Insegnando loro che ci possono dire tutto e che noi siamo dalla loro parte. Aiutandoli a volare il loro vero volo, mettendo da parte i nostri desideri, le nostre aspettative, ascoltando e riconoscendo le loro. Non è facile, è un percorso difficile e impegnativo, ma rende tutti migliori, più felici e più liberi, anche i genitori. E farsi aiutare, da altri genitori, da qualcuno che è un po’ più avanti nello stesso percorso, per non sentirsi soli, per uscire dal dolore, per capire prima. E poi informarsi, perché informarsi è conoscere, conoscere è comprendere e comprendere è smettere di avere paura. Alessandro è stato un’occasione per tutta la nostra famiglia per diventare migliori e più uniti e per questo non lo ringrazierò mai abbastanza. Proprio ieri, prima di andare ad un incontro con altri genitori in una scuola, sulla porta, prima di salutarmi, con quel suo sorriso incantatore, mi ha detto: “Mamma, racconta una storia felice, piena di speranza”. Ecco, spero di averlo fatto ieri e spero di averlo fatto adesso.