La finanza può cambiare il mondo? La domanda non è ironica né ingenua. Certo, le prime risposte elencano gli effetti sull’economia reale dell’ultima crisi finanziaria, a partire dal fallimento della banca d’affari Lehman Brothers nel settembre 2008. Dunque sì, la finanza può cambiare il mondo e non sempre in meglio.
In questi anni le banche stanno vivendo un deficit di credibilità, nutrito di recente anche dagli scandali sul Libor nella City e a Wall Street. Lo sforzo per recuperare in presentabilità spesso viene compiuto in ambito sociale.
L’ultima frontiera è la battaglia per il diritto alla diversità di orientamento sessuale anche sul luogo di lavoro.
Domani a Londra, per la prima volta in Europa, i big della finanzia mondiale (come Bank of America Merrill Lynch, Citi, Deutsche Bank, Credit Suisse, Goldman Sachs, Hsbc) si confronteranno su come favorire l’uguaglianza in ufficio dei dipendenti gay, lesbiche, bisex e transgender (Lgbt), iniziativa che ha avuto un precedente di successo a New York.
Nei Paesi anglosassoni il tema è molto diffuso, mentre in Italia comincia a essere affrontato ora soprattutto dalle multinazionali, come spiega Ivan Scalfarotto, che nel 2004 e 2005 è stato co-Chair di CitiPride, il network Lgtb di Citi a Londra. E che ha fondato Parks, un’associazione che ha tra i soci solo datori di lavoro e l’obiettivo di aiutare le aziende a valorizzare le opportunità di business legate allo sviluppo di strategie rispettose della diversità.
Non è dunque solo filantropia l’interesse delle grandi banche per la diversity. L’obiettivo finale, l’inclusione, porta infatti con sé un migliore impatto sul cliente. In passato le battaglie erano a favore del lavoro femminile, il risultato è stato una donna indipendente (anche finanziariamente).
Ora la lotta si è spostata altrove. E se per una volta i diritti civili si sposano con il business, forse non è il caso di storcere il naso. Magari tra non molto anche una banca italiana sponsorizzerà il gay pride di Roma, come ha fatto JP Morgan con la manifestazione di Londra e di New York.
di Francesca Basso