La Repubblica, 7 febbraio 2016
articolo di Giuliano Balestrieri e Raffaele Ricciardi
Unioni civili, l’esempio delle aziende: ecco dove benefit e permessi non hanno sesso.
Mentre la politica si accende sul ddl Cirinnà, alcune imprese hanno già esteso da anni i diritti riservati ai coniugi “tradizionali”. Sono grandi multinazionali di stampo anglosassone, come Google, Twitter o General Electric. Ma anche piccole aziende italiane
Dove lo Stato ancora non arriva, o con gran fatica medita di farlo, può il privato. Suona strano in Italia, dove spesso si accusa l’impresa di cavalcare le norme o insinuarsi nelle sue zone grigie per il tornaconto economico. Eppure in tema di diritti civili, argomento bollente sulla scena politica vista la discussione parlamentare sul disegno di legge Cirinnà, ci sono molti esempi di aziende che hanno fatto il passo prima del legislatore. Non tutte e non ovunque, ma i casi non mancano.
Parks, associazione tra datori di lavoro impegnati per la valorizzazione delle politiche e pratiche aziendali per i dipendenti Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender), traccia il Global Diversity Index, che disegna un quadro molto variegato. L’86% delle aziende risponde di avere introdotto politiche di non discriminazione delle persone Lgbt, ma all’atto pratico gli atteggiamenti sono ancora piuttosto variegati. Se si tratta di estendere i benefit (come assicurazioni o auto aziendali), il trattamento è pressoché identico per tutti. Si scende alla metà del campione, però, se si parla di ampliare i permessi familiari, che riguardano ad esempio i congedi matrimoniali per le unioni contratte all’estero o il diritto ai permessi per l’assistenza al compagno o alla compagna. Si scende, poi, sotto il 50% se di mezzo c’è l’equiparazione del figlio biologico del convivente dello stesso sesso. Proprio il tema della stepchild adoption sulla quale si stanno alzando i muri della politica.
Alla società civile, gli esempi del mondo aziendale non mancano. Intesa Sanpaolo ha siglato nel luglio 2014 il suo “Protocollo quadro sull’inclusione e le pari opportunità” tra azienda e sindacati, che tra le altre cose estende il congedo matrimoniale a chi si sposa anche all’estero e la possibilità di fruire dei permessi di cura per handicap. Anche Unicredit ha le sue prassi in tema di “unioni civili”, che oltre ai permessi riguardano il ricongiungimento familiare (un grande problema, soprattutto nella Pa dove ci si attiene strettamente alle disposizioni di legge), le coperture assicurative o le agevolazioni nella sottoscrizione di mutui o prestiti personali.
Senza passare dagli accordi con i sindacati, ma cambiando i codici etici, ha lavorato molto Tim. Fabio Galluccio, diversity manager dell’ex Telecom Italia, racconta: “Abbiamo iniziato l’attività sull’orientamento nel 2009 e molti colleghi hanno fatto coming out. Siamo diventati un punto di riferimento anche per colleghi-genitori che hanno figli gay”. In azienda “sono nate molte iniziative partecipate, alla dirigenza abbiamo regalato Diritto d’Amore di Stefano Rodotà”.
Già, il management come affronta la tematica? Elena Bonanni, direttrice delle risorse umane del Sud Europa di GE Oil & Gas, se dovesse provare a convincere un collega a puntare su queste iniziative direbbe “in termini tecnici che hanno un ‘ritorno sugli investimenti’ altissimo. Lo sforzo economico è minimo, perché non si tratta di gestire una mole di richieste enorme; ma il risultato è massimo”. Certo, General Electric ha alle spalle una dimensione multinazionale che ha ‘allargato la mente’ fin dal 2000, quando sono partite le prime iniziative negli Usa. Bonanni spiega che la divisione italiana ha ereditato “l’impostazione della nostra casa madre, che da tempo si occupa dei problemi legati alla diversity. Per noi è un passo spontaneo: mettiamo i nostri dipendenti nelle condizioni di lavorare migliori possibili”. Ecco, dunque, le misure di equiparazione su riscatto del Tfr, legge 104 sull’assistenza dei familiari in difficoltà, assicurazione sanitaria.
Attenzioni che altri colossi di matrice anglosassone hanno già mutuato dalle società madri, come nel caso di Twitter che anche in Italia permette di estendere l’assicurazione medica ai partner di qualunque sesso, o di Google che non solo supporta diverse attività – come il Gay Pride di Milano e i Diversity Media Awards -, ma riconosce gli stessi benifit a tutte le coppie riconosciute di qualunque sesso (licenza matrimoniale, congedo parentale e assicurazione sanitaria). Sulla stessa lunghezza d’onda anche Discovery, che con i suoi programmi su Real Time ha contribuito a normalizzare le diversità mostrando tutte le sfaccettature della vita e delle persone attraverso i suoi programmi. L’ultimo in ordine di tempo è Di fatto, famiglie realizzato dalla casa di produzione Yam112003, società molto sensibile sul tema che alle coppie omosessuali riconosce il congedo parentale.
Più dell’etica, può ancora il senso per gli affari. “Gli studi in merito sono ormai molteplici: più una persona si sente a proprio agio nella realtà in cui si lavora, più riesce a essere produttiva”, ammette Ferdinando Poscio, avvocato e partner dello studio legale Clifford Chance, padre – insieme al proprio compagno – di un bambino di quasi due anni, che spera di poter riconoscere a breve anche in Italia mediante la stepchild adoption. “Il problema – racconta – sono i retaggi culturali, che ritardano il pieno riconoscimento dei diritti civili. Un problema anche per le donne, ma per fortuna il rispetto e la valorizzazione delle diversità sono principi fondanti del nostro studio. Di più: per lo studio, come per i clienti, le diversità sono un fonte di ricchezza, sia in termini di idee, che consentono di affrontare i problemi da differenti punti vista e proporre soluzioni innovative, sia in termini di sensibilità e capacità di instaurare rapporti. E la ricchezza si trasforma in un aiuto concreto”, sottolinea Poscio. Con questa impostazione, nello studio “si sono sviluppati degli anticorpi che di fatto aiutano ad isolare e neutralizzare eventuali corpi estranei”. L’anticipo in azienda dei temi del ddl Cirinnà costituisce un’attenzione che “fa tornare al lavoro con ancora più entusiasmo”, conclude il professionista.
“Per le aziende multinazionali è di vitale importanza poter garantire le stesse o simili protezioni ai dipendenti nelle loro filiali in diversi Paesi in cui operano. Laddove non ci arriva lo Stato, come in Italia, sono le aziende stesse a farlo”, spiega Igor Suran, direttore generale di Parks. Ma quando l’azienda è più piccola? Il problema dei costi ci può essere, come riconosce Camilla Buttà di Vector, azienda di trasporti che da Varese compete con i colossi delle spedizioni di mezzo mondo. Ma ha le idee chiare e la volontà ferma: “Da due anni stiamo percorrendo una strada di diversity management, abbiamo dipendenti dichiaratamente Lgbt. Anche se non siamo un’azienda grande nei numeri, sappiamo quanto è importante investire sul personale. Non tanto per ottenere risultati economici, ma per rendere questo posto di lavoro un posto piacevole, dove le diversità vengono esaltate. Anche perché abbiamo un ruolo sociale: le aziende devono essere un luogo educativo”.
Ne sa qualcosa Giada, che con voce solare racconta la sua storia. Lavora in Vector da 14 anni e ha una compagna da un anno e mezzo: quest’ultima, dopo un percorso di fecondazione eterologa a Madrid, sta per dare alla luce una bambina. “Le cose stanno cambiando a livello aziendale, e io sono il simbolo di questo cambiamento”, dice emozionata. Per poi riconoscere, con disarmante semplicità, che “grazie a una realtà come questa, ti rendi conto che anche in Italia qualcosa si muove”. A ben vedere, è “una trasformazione dell’azienda che non fa altro che rispecchiare quello che c’è già là fuori, nella società”. Linea condivisa in pieno da Suran: “Ognuno di noi ha un orientamento sessuale e un’identità di genere che determinano in modo imprescindibile tutta la nostra vita. Possiamo davvero pensare che sia naturale doverci spogliare della nostra identità, nel momento in cui varchiamo la soglia del nostro luogo di lavoro?”.